Schede degli spettacoli teatrali

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All’Inferno non si canta

La fine di Osip Mandel’stam, poeta

Seconda operina radiofonica di Antonio Fuso

ALL’INFERNO NON SI CANTA è lo spettacolo che conclude la ricerca sulla fine del poeta russo Osip Mandel’stam, “scomparso” in un gulag durante le cosiddette “purghe staliniane”.
In quest’ultimo capitolo si riprende il racconto della vita del poeta dove lo avevamo lasciato, a Voronez, a più di mille chilometri da Mosca, dove sconta una condanna a 4 anni di confino per attività controrivoluzionaria. Lo ritroviamo quindi nella redazione della radio del luogo (da noi ribattezzata gul slovo i kultura) con la quale collabora in cambio di un tozzo di pane.
Da lì in poi lo si accompagna verso la fine chiamando a testimoniare i compagni di sventura, sollecitando i ricordi della moglie a proposito del suo amore per la lingua italiana, scendendo all’Inferno, nel gulag con lui, entrando nel XXVI canto dell’Inferno, leggendolo con i suoi occhi.

Intorno al poeta morente abbiamo radunato testimoni d’eccezione: Maiakovskij, Pasternak, Esenin, Achmatova, Cvetaeva… e abbiamo chiesto loro di intonare il canto funebre, un compianto alla maniera antica, che fosse un monumento alla indispensabilità della poesia.

Qualche informazioni in più

ALL’INFERNO NON SI CANTA è lo spettacolo che conclude la ricerca su OSIP MANDEL’STAM (1891-1938) poeta russo “scomparso” in un gulag durante le cosiddette “purghe staliniane”. La ricerca, cominciata nel giugno 2013 ha occupato due stagioni denominate TEMPO di POESIA. Vuol dire che Scena Sintetica ha vissuto due anni con il poeta, la sua biografia e la sua poesia realizzando tre impegnativi eventi spettacolari , tre drammaturgie:
1) OSIP MANDEL’STAM: GERUNDIVO (FORMA MEDIALE DEL FUTURO PASSIVO) operina radiofonica di Antonio Fuso che raccontava la vita di Osip, valorizzando la figura grandiosa della moglie Nadezda Chazina, che imparò a memoria tutte le poesie che il marito le dettava per poi riscriverle trent’anni dopo la sua scomparsa a Stalin morto.

2) STANCHEZZA E BRAMA DEL VOLO, spettacolare happening di Giovanni Marconi alle prese con una vasta piuma da dipingere mentre il coro degli attori e la minuscola orchestra gul slovo i kultura con gesti suoni e parole raccontavano del primo contatto del poeta russo con Dante e La Divina Commedia sul piano della predilezione condivisa per tutto ciò che conduce verso l’alto: gli angeli in Dante, l’ossessione acmeista in Mandel’stam. E intanto si diceva dell’amore di Mandelstam per la lingua di Dante che lo portò nel 1933 tra una fuga e un digiuno e un confino, a imparare la lingua italiana del 1300 comprese la prosodia e la metrica per leggere Dante in originale. Di questa passione per l’italiano, ci resta un prezioso saggio Conversazione su Dante la cui lettura ha prodotto:

3) ALL’INFERNO NON SI CANTA, seconda operina radiofonica di Antonio Fuso, cioè una lectura Dantis al lume di Mandel’stam. Scrive Brodskji : “Osip Mandel’stam è un Orfeo moderno; spedito all’inferno non fece più ritorno”. Dunque l’inferno del titolo è l’Inferno della Kolyma, cioè del gulag di non ritorno e l’orrore e gli orrori di tale condizione magistralmente resi da Varlam Salamov nel celebre I racconti della Kolyma. In esso uno dei racconti, Cherry- brandy, è un crudo ritratto di Mandel’stam nel campo d transito di Vladivostok in attesa di raggiungere l’inferno della Kolyma. Se nei gulag non si cantava, ancor meno lo si fa nell’Inferno dantesco dove regnano sovrani disperazione e dolore: “lasciate ogni speranza o voi chentrate…”. Ci vuole un’anima piena di gioia per intonare canti, essere innamorati ;come dice Agostino”cantare è proprio di chi ama”. In quest’ultimo capitolo, quindi,si riprende il racconto della vita di Mandel’stam dove lo avevamo lasciato, a Voronez, a più di mille chilometri da Mosca , dove sconta una condanna a 4 anni di confino per attività controrivoluzionaria. Lo ritroviamo quindi nella redazione della radio del luogo (da noi ribattezzata gul slovo i kultura) con la quale collabora in cambio di un tozzo di pane. Da lì in poi lo si accompagna verso la fine ricordando le ultime intensissime poesie, chiamando a testimoniare i compagni di sventura, sollecitando i ricordi della moglie a proposito del suo amore per la lingua italiana, scendendo all’Inferno, nel gulag con lui, entrando nel XXVI canto dell’Inferno, leggendolo con i suoi occhi… E poi,spingendo lo sguardo a fondo nella solitaria molteplicità delle stelle, quasi a scandagliare “i gioghi del cielo irresponsabile”, intorno al poeta morente abbiamo radunato testimoni d’eccezione: Maiakovskij, Pasternak, Esenin, Achmatova, Cvetaeva… e abbiamo chiesto loro di intonare il canto funebre, un compianto alla maniera antica, che fosse un monumento alla indispensabilità della poesia.

Chi è Osip Mandel’stam

Osip ‘Emil’evic Mandel’štam nasce nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 1891, a Varsavia in una famiglia ebraica della media borghesia, che poco dopo si trasferirà a Pietroburgo. In un sobborgo della capitale M. trascorre l’infanzia e la prima giovinezza. Dal 1900 al 1907 frequenta l’Istituto Tenisev.
Dall’ottobre del 1907 all’estate del 1908 soggiorna a Parigi. Dall’autunno del 1909, per due semestri frequenta l’università di Heidelberg, occupandosi di linguistica romanza e di filosofia. Allaccia rapporti con i simbolisti russi. Nell’agosto del 1910 esordisce con cinque liriche sulle pagine della rivista “Apollon”. Nel maggio del 1911 si fa battezzare nella chiesa metodista di Vyborg, per potersi iscrivere alla facoltà di lettere dell’università di Pietroburgo. Aderisce alla “Gilda dei poeti” dando vita all’acmeismo ( dal greco akmé, vertice).

Nel 1913 pubblica la prima raccolta di versi, Kamen’, Pietra. Nel marzo del 1918 viene eletto, insieme a Majakovskij e Pasternak membro del circolo linguistico di Mosca. Cerca di sottrarsi ai disagi della guerra civile con sempre più numerose fughe a sud. A Kiev nel 1919 co- nosce Nadežda Chazina, che sarebbe divenuta poi sua moglie e sua compagna di traversie e tragedie. Nel gennaio del 1922 esce la sua seconda raccolta poetica, Tristia. Nel 1923, cade in disgrazia.

Comincia l’emarginazione, l’esilio in patria, una graduale opera di strangolamento. Cerca di resistere virando verso la prosa e la letteratura per l’infanzia. Vive dell’elemosina di amici e parenti, e di momentanee ospitalità or qua or là in luoghi geograficamente lontani. Nel 29 viene accusato di plagio perché in una edizione da lui curata del Till Eulenspiegel non figurava il nome dei due traduttori.
Una trappola, alla quale reagisce in forma violenta nel panphlet intitolato Quarta prosa, accusando i suoi colleghi scrittori di costringerlo al silenzio, perché giudeo.

Tace così la sua poesia per più di un quinquennio. Il 1933 sarà l’anno del grande risveglio con Viaggio in Armenia, e soprattutto Razgovor o Dante (Conversazione su Dante). Ma è anche l’anno della sua“condanna a morte”per“componimenti antisovietici”, per aver declamato, tra le altre, una sferzante poesia contro il re- gime. Dapprima tre anni d’esilio a Cerdyn dove tenta il suicidio e poi al confino, a Voronež, dove resterà fino al maggio del 1937 lavorando per la radio locale e per la filodrammatica. Dal giugno del 1937 fino a febbraio del 1938 vive in una oscura località sulla riva destra del Volga. La mattina del 2 maggio 1938 viene di nuovo arrestato e condannato a 5 anni di deportazione per“attività controrivo- luzionaria”. D’ora in poi, le uniche notizie certe lo danno in un“lager di transito” nei pressi di Vladivostok. È il 12 ottobre del 1938. Secondo la comunicazione ufficiale inviata ai parenti due anni più tardi, Mandel’štam si sarebbe spento il 27 dicembre 1938.

Prima rappresentazione:

2015

Eseguita dal vivo dagli attori “acmeisti”
Armando Leopaldo, Domenica Lorini, Paolo De Lucia, Tatyana Kachurina, Lorenzo Biggi, Paola Facchetti, Federica Lancini, Daniele Ghirardi

Incorniciati dalla scena disegnata da
Denise Bagno

Illuminati da
Renato Rossi

Musiche di
Carlo Citterio piano, Claudio Gioiosi fisarmonica, Stefano Lonati violino

Drammaturgia e regia di
Antonio Fuso