Schede degli spettacoli teatrali

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Un mondo all’interno del mondo

Una foto della rappresentazione all’Abbazia di Sant’Antimo, Montalcino (SI)

L’itinerario rappresentato, riproduce in piccolo la topografia de Il castello interiore ovvero Las Moradas (1577) di Santa Teresa D’Avila.
Nelle sette dimore di questo antico trattato sulla preghiera, abbiamo fatto sostare i pensieri, le immagini e le parole di Fra David Jones, canonico regolare di Sant’Antimo e poeta. Ci siamo mossi secondo un’antica consuetudine di amore nei confronti della maiuscola Poesia che, quando è alta, si cerca, si riconosce e si imparenta con gioia.

Per noi è un bisogno. Per noi è un “metodo”.

Presentazione

Abbandono, letting-go, déprise, Gelassenheit, nella mistica cristiana è quell’atteggiamento spirituale per cui l’Anima si dà pienamente a Dio accettando totalmente le disposizioni nascoste della Sua volontà. Dai maestri di vita spirituale, tale stato è considerato «la virtù delle virtù».
Questo è il tema dominante nelle poesie di Fra David Jones e noi, obscurum per obscurius, ci siamo applicati a questo tema perdendoci (abbandonandoci?) nelle dimore del Castillo Interior di Teresa d’Avila.
Non siamo patiti dei “metodi teatrali”, perché sappiamo che il metodo, qualsiasi metodo è “macchina celibe”; si nutre di se stesso e delle menti e dei corpi dei suoi accoliti ed è sempre affamato; e anche perché in nome del “metodo”, culturalmente parlando, si sono avallate autentiche nefandezze. Tuttavia, se qualcuno nel futuro vorrà annotare le tracce del nostro passaggio nel teatro, è autorizzato a parlare di noi come coloro che hanno adottato il “metodo del non più far presa”, dell’abbandono.

Naturalmente, qualcuno ci ha preceduti: tutti i mistici dell’Occidente, Mario Apollonio, Emo Marconi, nostri maestri. Ma la teorizzazione più convincente la dobbiamo a Roland Barthes, il quale nel 1979 preparando la prima “Lezione” al College de France, inaugura il famoso “méthode de déprise” che è traduzione francese di quel termine fondamentale dell’esperienza mistica che è abbandono, “non più far presa” al tempo, all’io…

Quel “non più far presa” è lasciare spazio all’altro, agli altri, all’Altro, ritrarsi in quella “zona d’affetto” che ritrova, intatto, il mito dell’origine: nell’infanzia dei gesti, in un tempo bambino, nel dubitoso tendere alla madre. Scrive Barthes (e qui ringraziamo Carlo Ossola che ce lo riporta in una corrispondenza da Parigi, apparsa in un remoto “domenicale” del Sole 24 ore) “Vorrei dunque che la parola e l’ascolto che s’annoderanno qui (pensava proprio ad una sera come questa!) siano simili al va e vieni di un bimbo che giochi intorno alla mamma, che se ne allontani, e poi a lei ritorni, per offrirle un ciottolo, un filo di lana, disegnando così, intorno a quel centro di pace, tutto un alone di gioco (jouer- teatro!), all’interno del quale, il ciottolo, il filo di lana contano meno del dono pieno di trasporto che ne viene fatto”. E, dopo una pausa aggiunge: “Credo sinceramente che all’origine di ogni insegnamento occorra accettare di porre un affetto”.

Anche noi crediamo “sinceramente” che all’origine di ogni rappresentazione “occorra accettare di porre un affetto”.
Questo è “Un mondo all’interno del mondo”, un “affetto” per i nostri maestri, per il teatro, per noi stessi.

Antonio Fuso

Prima rappresentazione:

2005

Il corpo e il coro:
Armando Leopaldo, Domenica Lorini, Paolo Djago, Paolo De Lucia, Paola Facchetti, Federica Lancini, Lorenzo Biggi
(In precedenza anche con: Maura Benvenuti e Mariarosa Tinti)

Il Canto:
Francesca Provezza
Daniele Ghirardi

Le luci:
Sergio Martinelli

La regia:
Antonio Fuso